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Daniele Boffelli Photography

Non è stato come me lo immaginavo

Mi ero preparato alle cose più forti che avrei visto: la sporcizia, gli intoccabili, il traffico asfissiante, i morti che bruciano in riva al Gange, gli escrementi di mucca da scavalcare, i grovigli di cavi elettrici, i mendicanti. Ho sentito persone dire “quando le vedi è peggio”, per me non è stato così.

Eppure, tolti i noti lati problematici, nella mia testa c’era questa idea stereotipata di un’India spirituale e ascetica in cui le persone vivono in simbiosi tra di loro, facendo yoga al mattino, benedicendo il creato,  vestendosi con i colori più accesi, dipingendosi la barba con l’henné.

In poche parole ero rimasto a quell’idea data dall’atmosfera dalle fotografie di Steve McCurry scattate 50 anni fa.

Questo articolo non vuole essere la descrizione per filo e per segno di un viaggio, né una carrellata di punti negativi e positivi di una cultura diversa dalla nostra. Vuole essere solamente un’istantanea di ciò che abbiamo provato e vissuto, con alcuni aneddoti. Leggendo potrebbe sembrarvi che sia un posto da evitare; vi posso assicurare che nonostante tutto abbiamo vissuto un’avventura indimenticabile, che vale la pena essere vissuta. Potrebbe inoltre essere d’aiuto a chi vuole organizzare un viaggio in India e non vuole incorrere in certe situazioni.

Ci ho messo tantissimo a mettere mano alle fotografie e a questo articolo. Credo che dovessi distaccarmi dalle sensazioni a caldo e rielaborare il tutto lasciando passare un pò di tempo.

Ma partiamo dall’inizio.

Due uomini parlano sull'uscio di un negozio a Jodphur

Io ed Enrica decidiamo di andare in India per tre motivi: nessuno di noi l’aveva mai vista, è una meta molto economica in un periodo dove voli e hotel sono aumentati per qualsiasi destinazione e infine c’era la possibilità di salutare un nostro amico che si trovava là da qualche mese.

Prepariamo il viaggio all’ultimo (abbiamo prenotato il volo due settimane prima), affidandoci a un tour operator locale basato a New Delhi. Con circa 800€ avremmo avuto un autista privato per due settimane, un treno notturno da Agra a Varanasi e una sim telefonica indiana. Inoltre, per essere sicuri di non sbagliare, facciamo prenotare tutti gli hotel a loro, nonostante sapessimo già che ci avrebbero fatto un pò di ricarico sopra. Abbiamo comunicato il nostro budget giornaliero e loro hanno prenotato quello che ritenevano migliore con quella cifra.

Giardino Lodhi, New Delhi

Il nostro arrivo a New Delhi è stato peculiare e merita di essere raccontato. Dopo le innumerevoli ore di viaggio fatte di tre voli e due scali atterriamo in India alle 2.30 di notte. Tempo di ritirare i bagagli e fare i controlli dei passaporti e siamo fuori. Ci aspettiamo di trovare il nostro autista col cartello “Boffelli” ma non c’è nessuno. Appena mettiamo il piede fuori dall’aerostazione veniamo assaliti dai tassisti che ci vogliono portare al nostro hotel. C’è tantissimo caos, come poi troveremo in tutte le città indiane che visiteremo. Lì, in quel momento, è stato decisamente disorientante. Urla, clacson, luci abbaglianti. 

Un tassista si avvicina e ci chiede di prendere il suo taxi. Rispondo che abbiamo già il nostro autista e che lo stiamo cercando. Lui si propone allora di chiamarlo col suo telefono. Io gli do il numero che avevo salvato e lui inizia a parlare al telefono. Ho però un sospetto e tengo d’occhio il suo telefono: mi accorgo che non fa partire nessuna chiamata, ce n’era una già attiva. Dice qualcosa al telefono e poco dopo me lo passa. 

Dall’altra parte del telefono una voce mi dice: “Hello sir, the car is broke down, you need to take a taxi”.

Capisco subito che mi sta raggirando così prendo per il braccio Enrica e le dico che ce ne dobbiamo andare da lì. Il tassista ci insegue e noi ce ne liberiamo con la scusa che dobbiamo andare in bagno. Purtroppo in quell’aeroporto una volta usciti non è possibile rientrare se non con un biglietto di partenza. Così saliamo al piano superiore delle partenze, sempre nella parte esterna, e inizio a chiedere a qualcuno una rete wifi; fortunatamente un dipendente dell’aeroporto ci fa collegare al suo hotspot e riusciamo così a parlare col tour operator via Whatsapp.

Dopo un’ora da quando siamo usciti dall’aeroporto troviamo il nostro autista. È stata come una visione. Raccontatogli quello che ci era successo ha commentato con “Taxi very cheaty” ovvero “i tassisti sono molto imbroglioni”. Purtroppo l’autista che ci è capitato parlava molto poco inglese. Ci sono stati davvero tanti problemi di comunicazione e spesso capitava che dovevamo parlare al telefono direttamente con Amit, il capo del tour operator. A dei miei amici invece, appena tornati dall’India, è capitato proprio Amit come autista e il loro viaggio è andato decisamente più liscio del nostro.

Jaipur, uscendo dalla calca di una festa popolare

Arrivati davanti all’hotel un facchino si affretta per venire a prenderci i bagagli. Lo ringraziamo dicendo che possiamo fare da noi ma insiste. Arrivati in camera inizia a illustrarci tutte le “comodità” della stanza. Lo ringrazio e spero che esca il più presto possibile: sono le 5 del mattino, siamo in giro da 36 ore e vorremmo solo dormire. Lui mi sorride e aspetta. Io lo ringrazio: “Thank you, thank you”. Lui sorride e mi guarda. Dopo momenti di imbarazzo capisco: vuole una mancia. Io tuttavia con me non ho né euro né rupie siccome dovevo ancora prelevare. Dopo un interminabile scambio di “thank you” e di sguardi esce dalla camera, visibilmente deluso. Finalmente possiamo dormire.

Un tuc-tuc di Jaipur

I due giorni successivi li passiamo a Delhi, una megalopoli da 28 milioni di persone

Uscendo dall’hotel col nostro autista il traffico è la cosa che ci colpisce subito. Centinaia di risciò, anche detti tuc-tuc, ci inglobano. Si comunica solo col clacson. Ci viene detto che non ha un significato specifico: lo suoni se sei arrabbiato, se sei felice, se vuoi salutare, se vuoi farti notare, se devi svoltare, se vuoi che qualcuno si scansi. Praticamente lo usi in ogni occasione. “BLOW HORN” è scritto su praticamente ogni camion.

La cosa incredibile è che nessuno si manda a quel paese, neanche con i peggiori tagli di strada. Devo dire che di incidenti ne ho visti davvero pochi e a vedere come guidavano tutti mi sembra impossibile. Alcune cose che mi è capitato di vedere in autostrada: mucche che attraversano, persone in piedi sul paraurti posteriore di una jeep, capre vive nei portaborse laterali delle moto, gente che dorme sotto al proprio camion accostato a lato della strada.

Tra i posti più suggestivi che vediamo a Delhi c’è il mercato. Non saprei dirvi con esattezza quale fosse, immagino ce ne siano a migliaia. Per darvi un’idea della zona era vicino alla moschea Jama Masjid.

Dopo aver visitato la moschea saliamo su un tuc-tuc che ci porta all’interno del mercato. Ora, sarebbe impossibile indicare il suo perimetro; come in quasi tutta l’India infatti c’è un negozio in qualsiasi buco possibile. Tutti gli edifici hanno alla base dei piccoli garage che danno sulla strada, ognuno dei quali è sede di un’attività. Chi smista metalli, chi vende vestiti, chi cucina, chi vende spezie. Ogni spazio è riempito accuratamenteImmagino che la burocrazia per aprire il proprio business sia molto più snello che da noi. 

Sopra le strade grovigli di centinaia di cavi più o meno sfilacciati si intrecciano. La guida che ci è stata fornita per quel giorno ci dice che durante i monsoni la pioggia provoca degli scoppi improvvisi. Non è raro che qualche passante perda la vita. 

All’interno del mercato ricordo chiaramente di aver notato una grande quantità di persone amputate, immagino per le condizioni di sicurezza sul lavoro praticamente inesistenti. Sembra di essere stati catapultati in una periferia europea dell’800 quando i primi macchinari per aiutare i lavoratori si stavano iniziando a diffondere. 

Il chiasso è costante. Un muro sonoro di voci, tuc-tuc, clacson, motociclette, macchinari in funzione. Ci si abitua presto

Mercato a Delhi

Come prima ho accennato, ad accompagnarci c’era una guida. Ci è stata fornita dal nostro tour operator per quasi ogni città che abbiamo visitato. Ci è stata data gratuitamente (credo inclusa nel ricarico che abbiamo avuto sugli hotel), anche se ci è stato raccomandato di dare una mancia congrua alla fine della giornata.

Ho un’opinione contrastante riguardo alle guide. Per esempio, dopo la prima mezza giornata a Delhi che abbiamo passato da soli non stavo capendo niente. C’era solo gente e casino. In quella situazione la guida è stata un grosso aiuto per districarsi all’interno della megalopoli. Tuttavia, come è successo da lì in avanti, abbiamo capito che le guide ci portavano in negozi e ristoranti dove potevano prendere delle commissioni, rendendo l’esperienza davvero poco gradevole.

Un chiosco nella zona della stazione centrale di Delhi

Innanzitutto a pranzo venivamo portati nei ristoranti che dicevano loro. Erano tutti uguali: erano frequentati solo da occidentali, avevano sempre gli stessi piatti con prezzi triplicati. Poi, verso la fine del tour, venivamo portati presso dei negozi dove provavano a venderci la qualunque: souvenir, vestiti, tappeti, copridivani. Questo passaggio veniva spacciato come un’esperienza tipica facendo passare tutto come piccoli produttori locali di tessili, arte, gioielli. Ogni negozio diceva di produrre i tessili per i più grandi brand di moda ma che noi, fortunati, potevamo acquistarli direttamente dal produttore a prezzo ridotto. In realtà i prezzi non erano affatto quelli che ci si aspetterebbe dall’India: una camicia di lino veniva venduta a 39€, in pratica a più di quello che si potrebbe trovare da noi presso Zara o simili. Un copriletto 200€, contro i “3000€ che trovereste in un negozio in Europa”, come ci dicevano. Visto l’andazzo, man mano che il viaggio proseguiva chiedevamo di non essere portati in certi negozi. Niente da fare, prima ci veniva detto di sì e poi ci portavano lo stesso. E’ stata una cosa molto frustrante perché in certi luoghi, come a Varanasi, saremmo stati solo pochissimo tempo e passare un’ora e mezza in una stanza con un tizio che ti srotola tappeti davanti non era assolutamente ciò che volevamo.

L’utilità della guida inoltre veniva un pò meno quando davanti a palazzi o monumenti iniziavano a fare una carrellata di date, principi, raja (sovrani). Una valanga di informazioni impossibili da tenere a mente e che si sarebbero potute leggere tali e quali su Wikipedia. Per il Taj Mahal abbiamo insistito più volte con Amit per fare la visita per conto nostro e alla fine ha ceduto. Volevamo avere il tempo per goderci i dettagli, fare le fotografie che volevamo e prenderci il tempo che desideravamo. 

Ogni tanto provavo a fare delle domande a carattere sociale, sulla vita di tutti i giorni e sulla politica, ma le risposte erano sempre evasive.

Alba ad Udaipur
Il Taj Mahal

Il giro che abbiamo fatto è uno dei classici tour che si fanno la prima volta in India.

Partiti da New Delhi siamo poi andati nel Rajasthan, la terra dei re. Abbiamo visitato Pushkar, Jodphur, Udaipur e Jaipur. Da li poi siamo andati ad Agra, sede del Taj Mahal. Il giorno dopo abbiamo preso un treno notturno per Varanasi dove siamo rimasti un giorno e mezzo, pochissimo. Questo è nato da un errore di comunicazione col tour operator. Nel programma che mi aveva inviato aveva messo due date uguali (c’era due volte l’8 Aprile). Io non mi ero accorto dell’errore e avendo visto due giorni pieni a Varanasi ero tranquillo di avere abbastanza tempo per visitarla. Alla fine abbiamo scoperto in corso d’opera che saremmo rimasti solo un giorno pieno (ed ecco perché ero tanto arrabbiato con la guida che ci ha portato al produttore di tessili facendoci perdere un’ora e mezza). Siamo poi ritornati a Delhi con un volo interno e il giorno successivo siamo rientrati in Italia. In tutto siamo rimasti 16 giorni.

Varanasi è stata probabilmente la città che più mi ha colpito. La forte spiritualità (anche se a volte mi sembrava quasi ostentata o peggio ancora sceneggiata per i turisti), i colori, il gange, i rituali, la cremazione a cielo aperto. Ci avrei passato sicuramente più tempo, probabilmente 3 giorni. Qui sotto alcune foto scattate lì.

Un parrucchiere nei vicoli di Varanasi
Un Sadhu in un vicolo di Varanasi
Persone radunate per assistere al rituale del Ganga Aarti, sulle rive del fiume Gange
Un uomo medita su un ghat di Varanasi al tramonto

Le vacche: me le immaginavo come animali sacri e intoccabili, trattate con i guanti. Invece da quello che ho potuto capire dalle guide, che tuttavia non erano molto inclini a voler affrontare il discorso, esistono mucche che vivono libere per strada e altre che vengono allevate per i latticini, ma che una volta terminato il loro ciclo produttivo vengono liberate. Non fanno una vita felicissima. La maggior parte sono magrissime e mangiano i rifiuti che trovano per strada. Ci è capitato di imbatterci anche in un combattimento tra due tori in mezzo alla strada, testa contro testa.

Un aneddoto divertente: stavamo passeggiando per le vie di Jodhpur quando ci accorgiamo che dietro di noi, a pochi centimetri di distanza, c’era una mucca che ci stava seguendo. Siccome dovevamo attraversare una strada abbiamo rallentato il passo. La mucca ha quindi iniziato a prendere a testate il fondoschiena di Enrica; lei urlava e io non sapevo che fare: “Non è che se faccio qualcosa poi le persone si incazzano perché qui la mucca è sacra?”. Tempo due secondi e arriva un local che inizia a prendere a calci la vacca, che scappa così dall’altra parte della strada. Ok, allora non sono così sacre!

Oltre a loro abbiamo incontrato tantissime scimmie, sia nelle città che in posti più selvaggi, sempre pronte a rubare il cibo dalle mani delle persone distratte per poi scappare subito sugli alberi.

Scimmie al tempio Savitri Devri, Pushkar

Una cosa che ho imparato man mano che i giorni passavano è stato non dare retta a nessuno. Siamo stati in alcuni posti nei quali era quasi impossibile riuscire a camminare lungo una via senza che qualcuno non venisse a chiedere di entrare nel suo ristorante, di prendere il suo tuc-tuc, di comprare le sue statuine. Io di mia natura non riesco a essere indifferente verso le persone e tante volte cedevo dando corda a chi mi voleva parlare. Dopo alcune esperienze e su consiglio di Amit ho imparato ad essere un pò più stronzo e a non farlo. Vi racconto un esempio.

Ci trovavamo nel bellissimo tempio di Ranakpur, uno dei più alti esempi di tempio gianista. Sembrava di stare in un videogioco di Tomb Rider. E come in un videogioco ci siamo imbattuti nello schivare le piccole ma fastidiose truffe che vengono perpetrate da varie figure all’interno del tempio nei confronti dei turisti stranieri.

In ordine:

  • L’ingresso è gratuito tuttavia il personale dice bisogna pagare il biglietto. Quel biglietto in realtà è quello dell’audio-guida, che è assolutamente facoltativa. Consiglio comunque di prenderla data la bellezza e la complessità del tempio.
  • per ogni dispositivo elettronico bisogna pagare un biglietto speciale. Nel nostro caso 2 telefoni e una macchina foto avrebbero comportato 3 biglietti aggiuntivi. Abbiamo scelto di mettere i telefoni in una cassetta di sicurezza e portare solamente la macchina fotografica. Al ritorno la guardia delle cassette ha provato a darmi il resto sbagliato.
  • Nel regolamento del tempio c’è scritto che non è possibile fare fotografie agli idoli (statue di divinità) e fotografie di ritratti dentro al tempio (ad esempio non potevo fare una foto ad Enrica). E’ possibile solamente fare fotografie all’architettura. Entrati nel tempio una guardia mi fa segno di avvicinarmi. Mi vede con la macchina fotografica e mi indica un idolo, mi dice di fotografarlo. A me non interessava proprio, quindi dico no grazie; insiste. Rifiuto, insiste. Alla fine la faccio. Dopo indica Enrica, mi dice “photo, photo, photo” mimando lo scatto con le mani. Dico di no, insiste. Faccio questa benedetta foto. Appena l’ho fatta mi dice “money, money, money”. Chiedo perché, e lui mi fa il segno dei soldi con le mani, assicurandosi che nessuno lo veda. Capisco che mi ha “obbligato” a fare le fotografie che non si potevano fare per poi chiedermi i soldi. Gli do 20 rupie, praticamente 20 centesimi. Lo vedo poi fare la stessa cosa con altri turisti.
  • Passata la guardia si avvicina un monaco. Vuole farci il “bindi”, il segno rosso sulla fronte. Me lo sto quasi per fare pensando fosse una specie di benedizione data dai monaci gianisti, la cui aspirazione massima è il distacco completo dai beni materiali (come spiegato nell’audioguida). Enrica mi dice di non farlo, rifiuto. Lui spostando il piattino che aveva in mano mi fa vedere le banconote sotto: voleva farmi la benedizione per poi chiedere una mancia. Alla faccia del distacco dai beni materiali.
  • Passato oltre al monaco provo finalmente ad ascoltare l’audioguida in santa pace quando due signori vengono da me stringendomi la mano e facendomi domande generiche. Mi chiedono “stai guardando il tempio?”. Rispondo “Ci sto provando!”. Mi svincolo e vado via. Dovrò rifare un altro giro del tempio per ascoltare finalmente l’audioguida osservando i bellissimi dettagli intarsiati delle colonne.
Una donna vende verdure nei vicoli di Jodphur

Per quanto riguarda il cibo abbiamo iniziato la nostra esperienza in un ristorante di Delhi dove ci ha portato il nostro autista, un posto per turisti facoltosi e probabilmente il ristorante dove abbiamo speso di più in tutto il viaggio. Per carità, non molto rispetto ai nostri standard europei, ma comunque circa 20-30€ in due. Questa prima esperienza è stata fondamentale per regolarci in seguito. Abbiamo scelto dal menù un piatto a testa ma le porzioni erano abbondantissime. Da lì in poi abbiamo quasi sempre ordinato un solo piatto da dividere, soprattutto, se lo trovavamo nel menù, il Thali, una specie di piatto unico in versione veg o non-veg composto da riso, verdure, salse, pollo e pane. Se poi non era abbastanza ordinavamo altro. Uno dei piatti che più ci è piaciuto è stato il Butter Chicken ovvero pollo al burro. Si tratta di pezzi di pollo immersi in una salsa speziata ma non troppo composta da burro e yogurt, davvero buonissimo.

Quando invece i nostri stomaci erano un pò provati (e lo sono stati in varie occasioni) stavamo su un classico riso con verdure bollite chiamato Veg Biryani o Veg Pulao. Una sola volta sono stato tentato dal mangiare qualcosa di diverso. Era la sera prima della visita al Taj Mahal e stanco di mangiare riso e pollo ho ordinato un Club Sandwich con patatine nel ristorante dell’hotel. Mai scelta fu più sbagliata, vi risparmio i dettagli 😅.

Dal primo pranzo a Delhi abbiamo anche imparato a chiedere che i piatti fossero non spicy. Sapevamo sì che la cucina indiana fosse piccante ma dopo i primi bocconi eravamo quasi anestetizzati da quante spezie piccanti ci fossero in quelle pietanze.

La regola generale per evitare di stare male è quella che vale un pò dappertutto in questi Paesi: bere acqua in bottiglia e non mangiare niente di crudo. Può andarvi bene magari se siete fortunati, ma se vi va male sono dolori. 

Una bambina nella città blu di Jodphur

Arrivati a questo punto penserete forse che l’India sia stato per noi un viaggio terribile.

Tutt’altro. 

Sono fermamente convinto che da turista si sia portati a fare paragoni su un luogo con il proprio. Si notano le differenze e si pensa che quella cultura sia meglio o peggio della nostra. Andrebbe invece messo in conto che troveremo delle differenze, che quelle persone sono cresciute così, hanno altre convinzioni, una religione che li ha portati a vivere in un certo modo e di cui noi non conosciamo nulla. Noi non dovremo trasferirci li, un viaggio è fatto anche per farsi un’idea del mondo che ci circonda e per aprire la nostra mente a nuovi modi di pensare. Credo poi che la globalizzazione ci abbia un pò portati ad anestetizzarci verso le differenze. Ormai siamo abituati a città che si somigliano tutte tra loro, persone che ascoltano la stessa musica e che si vestono allo stesso modo. Dovremmo essere invece curiosi verso quei luoghi in cui la globalizzazione ha agito solo parzialmente. Poter vedere qualcosa di realmente diverso, quello dovremmo cercare.

Questo è stato anche un viaggio che mi ha messo di fronte alla miseria vera come mai l’avevo vista e che inevitabilmente mi ha portato a pensare a quanta fortuna abbiamo. Per carità, è sempre sacrosanto il diritto di cercare di migliorare la propria condizione e di non fermarsi mai, sono il primo a pensarlo, ma è anche doveroso fare un punto sulle possibilità che abbiamo a disposizione nei Paesi sviluppati e sapere che bene o male, con tutti i suoi difetti possibili, c’è uno Stato che non ti abbandona. In India non posso dire di aver visto questo. Ho sempre avuto l’impressione di vedere intorno a me persone che cercano di stare a galla, di sopravvivere giorno per giorno.

Delle ragazze che ci hanno salutato per tutti i 10 minuti in cui siamo stati dietro al loro camion, nei pressi di Jaipur

In India abbiamo visto tanti sorrisi, anche da parte di persone a cui la vita ha dato poco o niente. La celebrazione della vita, della morte, i colori, la luce. In India c’è una luce fantastica. Le esperienze più belle le abbiamo fatte quando eravamo liberi di girare per conto nostro, senza guide o autista. Alcune che me ne vengono in mente:

Su un rooftop di Delhi abbiamo conosciuto un insegnante di musica che parlava benissimo inglese e con cui abbiamo passato un’intera serata a parlare della cultura indiana. Lui per esempio era sposato con una ragazza tramite un matrimonio combinato. Era molto sincero nel dirci che non l’amava per via delle loro grandi differenze di personalità, tuttavia era anche sicuro nell’affermare che il loro progetto di vita era stato ormai sancito e la loro vita doveva essere insieme. 

In un altro ristorante, dopo aver chiesto informazioni su un piatto a una coppia di ragazzi, siamo stati invitati al loro tavolo e abbiamo pranzato insieme. Erano davvero curiosi di conoscerci e di sapere da dove venivamo. Alla fine ci siamo pure scambiati i contatti su Instagram!

L’ultima sera a Delhi ci siamo affacciati a una festa in strada dentro un tendone e appena ci hanno visto ci hanno invitato davanti a tutti, chiedendoci al microfono da dove venivamo e invitandoci a ballare con loro, è stato davvero bellissimo!

 

Alcune delle fotografie più belle del viaggio le ho fatte semplicemente vagando per le strade, al mattino presto o alla sera. Certo, lidea che avevo di entrare nelle case delle persone e fotografarle alla Steve McCurry è andata in fumo. Un pò perché, credo, i tempi sono cambiati e le persone si relazionano ai turisti in maniera diversa. Un pò perché chiaramente era un viaggio organizzato che toccava dei luoghi prettamente turistici. Solitamente sono una persona che vuole organizzare e fare tutto in autonomia ma guidare in India l’avevo escluso a priori per ovvi motivi. Affidarsi ai treni mi era stato sconsigliato se avevo delle tempistiche limitate. In pratica ci è stato detto da chi conosce bene l’India che non si può fare affidamento agli orari dei mezzi pubblici. Bisogna prenderla con filosofia ed aspettare. Non nego che mi affascinerebbe anche un viaggio del genere, tuttavia essendo la prima volta volevo avere un colpo d’occhio generale riuscendo a vedere abbastanza posti nelle due settimane a disposizione. Infine, non avevamo con noi un traduttore disposto a portarci dove volevamo ma semplicemente un’autista che ci portava in posti prefissati. Credo che altrimenti sarebbe stato molto più facile riuscire ad addentrarsi nella vita delle persone. La scusa per ritornarci c’è 🙂

Lago Pichola, Udaipur
Alba ad Udaipur

Riassumendo, i miei consigli, per te viaggiatore o viaggiatrice che stai leggendo e che vorresti andare in India sono i seguenti:

  • non fare paragoni con altri Paesi, non ne uscirai
  • ci sono vari modi per affrontare un viaggio in India. Fare come abbiamo fatto noi, quindi con un tour privato, oppure con un’agenzia come WeRoad o ViaggiAvventureNelMondo, quindi con altri viaggiatori, oppure infine in autonomia. Sicuramente quest’ultimo tipo di viaggio è quello più avventuroso e quello che potrebbe trasmettere di più. Tuttavia lo consiglierei solamente se avete un bel pò di tempo da dedicarci, oppure se vi volete concentrare su una zona in particolare e se non vi importa rispettare un programma serrato per filo e per segno. Per la vostra prima volta in India io mi affiderei a qualcuno, anche solo per farsi un’idea di ciò che è quel Paese. Se mi fossi trovato da solo a fare il viaggio che abbiamo fatto probabilmente sarei stato un pò disorientato e in difficoltà.
  • se ti interessa approfondire, ti consiglio il libro sull’India di “The Passenger”, una catena di libri alternativi di viaggio, che si addentrano molto nella cultura e su vari aspetti della vita quotidiana di quel luogo
  • sii gentile con tutti ma sappi che ci sono tante persone, specialmente nei luoghi più turistici, che vogliono approfittarsi di te. Non accettare niente da nessuno. Spesso, comunque, il tour operator ti avvisa della “pratica” peculiare di una specifica città. Per esempio a Pushkar c’è la pratica di donare dei fiori e poi chiedere soldi in cambio in maniera aggressiva. Ci è successo appena abbiamo messo fuori i piedi dall’automobile
  • le guide ti porteranno in negozi dove proveranno a venderti di tutto. Se non sai cosa stai comprando e quanto vale realmente evita di prenderlo 
  • lo street food in India è davvero per stomaci forti. Noi per ridurre le possibilità di stare male col cibo davamo un’occhiata prima su TripAdvisor. Troverai comunque qualcosa di local a prezzi da local (una sera abbiamo cenato con 3€ in due, CocaCola compresa)
Un motociclista risale i vicoli della città blu, Jodphur

Del continente asiatico ho visto finora Giappone, Cina e India. Per aspetti diversi sono tutte mete che ti portano in un’altra dimensione, che ti fanno sentire davvero lontano. Sarò sincero, ho un pò di amaro in bocca per come sono andate alcune cose. Ad oggi però, a quasi sette mesi da quel viaggio, riguardo le fotografie che ho scattato e provo una forte nostalgia di quei luoghi.

Voglio concludere con una frase di Tiziano Terzani tratta dal libro “Un altro giro di giostra” che racchiude perfettamente quest’ultimo concetto:

“Chi ama l’India lo sa: non si sa esattamente perché la si ama. È sporca, è povera, è infetta; a volte è ladra e bugiarda, spesso maleodorante, corrotta, impietosa e indifferente. Eppure, una volta incontrata non se ne può fare a meno.”

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